Ho letto un articolo di Vanity Fair ieri sera: parla delle case in cui sono avvenuti omicidi e di coloro che ci vanno ad abitare dopo quelle morti violente.
E' successo anche a me. Non un delitto, ma - forse - ancora peggio: si trattava di una strage mafiosa. Ho sentito di dover scrivere una lettera al giornale, e non mi interessa se non verrà pubblicata: l'importante è che il messaggio arrivi comunque a qualcuno.
A Dario Capolicchio
Ci sono case che gridano ancora, altre in cui esistenze e muri vengono ricostruiti.
Durante il primo anno di università, ho vissuto in un appartamento del palazzo in cui il 27 Maggio 1993 morì Dario Capolicchio, iscritto alla Facoltà di Architettura; nella torre di fronte alla mia finestra, venne cancellata un’intera famiglia; sotto ai miei occhi, una voragine profonda metri a cui non sono mai riuscita ad abituarmi.
Ogni volta che torno a Firenze, passo da Via dei Georgofili per salutare quelle cinque vittime spazzate via da una bomba lasciata da mani vili.
Ogni volta che passo da Piazza Capolicchio a Sarzana, gli dedico una preghiera.
Perché Dario avrei potuto essere io, se fossi nata soltanto tre anni prima: veniamo dalla stessa provincia, studiavamo nella stessa città, e probabilmente avevamo gli stessi sogni.
E’ stato un pugno nello stomaco la prima volta, entrare in quella casa dove soltanto un camino verde era sopravvissuto all’esplosione, e tutto il resto profumava di nuovo: mi sembrava di calpestare un luogo sacro, avevo paura anche solo a parlare a voce alta.
Ma oggi so di aver raccolto un testimone, e sono contenta di portarlo avanti come un dono prezioso.
martedì 23 marzo 2010
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